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COSTUMI DELLA  FESTA

Quando  a  Trento,  nell'aprile   1992,  nel  corso del convegno Ottocento questo conosciuto, organizzato dalla  Editrice Bibliografica e dalla Provincia  Autonoma  di   Trento,  ebbi l'opportunità, alla  fine  della  mia   relazione,  di  proiettare  su  uno schermo gigante le diapositive a colori delle  straordinarie immagini  dei Costumi della festa data da S. Maestà il dì 20 feb. 1854,  ( impresso  a  Parigi  dalla   litografia  Bertauts  e  curato  da  Luigi Marta ), sperimentai la rara sensazione di trovarmi di  fronte ad un pubblico stupito  e ammirato al tempo stesso.
Concepii   in  quell'istante  il  pensiero  che  simili   capolavori  non  potevano  rimanere privilegio di pochi, ma dovevano diventare  nuovi  terreni  di  ricerca,  evidenziando  il fluire del  tempo attraverso  l'evolversi  delle  immagini,  il   mutamento  delle  tecniche,  la formazione della moderna visività.   L'editore  Franco  Di  Mauro  ha  dato  concreta realizzazione a quella mia speranza ed io gli porto gratitudine per aver voluto estendere ai più la conoscenza di un'opera  di grande bellezza,  specchio di   un'epoca e  dei  suoi fasti. Ho voluto ripercorrere l'itinerario avvincente della storia dell'illustrazione italiana ( soprattutto  napoletana )   ottocentesca,  con   particolare  attenzione  ai    generi,  alle tecniche, agli artisti, alla cultura della visione che viene elaborandosi nel territorio.
Tanto solo per suggerire ( ce ne fosse bisogno ) che anche opere come questa per essere capite, ben al di là dell'immediata percezione della loro bellezza, necessitano di rigorosi strumenti interpretativi e di unificanti criteri di analisi...
(GIUSEPPINA ZAPPELLA)

 

Nel   variegato  panorama  festivo,  che  per  circa  tre   secoli  caratterizzò  la  vita  delle maggiori corti italiane, un posto di rilievo spetta senza dubbio al Carnevale. Basterebbero a provarlo le tante entusiastiche descrizioni che, nei loro diari di viaggio, i protagonisti del Grand Tour dedicarono a questo  annuale  appuntamento  celebrato  con particolare impegno in centri come Venezia, Roma,  Napoli. Nella  città   partenopea  il Carnevale - che  nel  Settecento  già   vantava  una  solida  tradizione  -  ebbe  un   ulteriore impulso allorché,  con   l'avvento  di  Carlo   di  Borbone  al  trono  delle  Due  Sicilie,  le consuete espressioni  di  carattere  popolare  furono  affiancate   da  altre forme di svago riservate alla nobiltà, primi fra tutte i veglioni   danzanti.  Ad  introdurli  fu  l'impresario Diego Tufarelli che nel 1747  chiese  ed ottenne  il  permesso di far entrare al  San Carlo  <<  le maschere, uomini e donne che sieno, a loro libertà, come pratticasi in tutti li teatri più famosi  e   nobili  d'Europa  >>.  Salvo   qualche   sporadica   interruzione,  quest'uso, accolto con grande favore  dall'aristocrazia  locale,  proseguì  per   tutto  il  Settecento  e, superato il decennio francese,  fu   ripreso  con accresciuto fervore dai sovrani borbonici che si avvicendarono   al  governo  dopo  la  restaurazione.  Particolarmente   sfarzosa  la mascherata del 1827  che  si  incentrava   sulla  figura  di  Francesco I  nelle  vesti  di   un sultano   orientale  che  fu   oggetto  di   una  preziosa  pubblicazione  illustrata  da  una raffinatissima suite di litografie uscite dai torchi di Cuciniello e Bianchi.

La stagione   più  rigogliosa  delle  maschere  fu  però  legata   agli  anni  di  governo  di Ferdinando II, ben noto non solo per la sua educazione bigotta, quand'anche per la sua innata passione verso le manovre militari e le parate, nonchè per le sue doti di ballerino esibite di buon grado anche nei trattenimenti offerti  di  continuo  dalla  nobiltà  e   dalle legazioni diplomatiche, oltre alle numerose  gale  indette in occasione dei compleanni e onomastici dei componenti della real famiglia, fu infatti proprio lui, a promuovere le ultime grandi feste della corte borbonica, quale il ballo dato al Real Palazzo nel 1837 per il matrimonio con Maria Teresa. Ma, come in   passato,   il  vero  fulcro  di  queste  manifestazioni  era   il Carnevale, celebrato al San Carlo  con  una serie di veglioni danzanti ciascuno dei quali richiamava  dai  quattrocento  ai  milleseicento   invitati.  A  parte  il  fiore  della  nobiltà napoletana, questi  veglioni facevano registrare una larga partecipazione di diplomatici, di  illustri  stranieri che, probabilmente,  mediante   l'uso  della  maschera riuscivano per qualche ora ad evadere dalla difficile situazione politica di quegli anni. Esemplare, in tal senso,   lo    spettacolare   torneo   organizzato   per    il   Carnevale   del   1847  -   svolto eccezionalmente   nello  spiazzo   antistante   la  reggia  vanvitelliana  di  Caserta  -  che vide, come  " Capo  della  fazione  rossa " ,  Ferdinando II   avvolto  in  una  imponente armatura da condottiero medioevale.

A chiudere il   ciclo delle manifestazioni  carnevalesche  fu  la  non   meno  grandiosa  e memorabile  edizione  del 1854, tenuta nell'appartamento delle feste del Real Palazzo la sera tra il 20 ed il 21 febbraio e, come di consueto replicata nei giorni successivi. Questa volta la fervida immaginazione del sovrano - dopo la << gioconda idea  della   giostrante cavalleria >> - concepì suddiviso in cinque quadriglie, << un quadro magnifico di epoche diverse, personificate, per così dire dalle fogge che in esse rifulsero >>. Lo riferisce Luigi Marta nella nota esplicativa anteposta alla sontuosa ed  elegante   pubblicazione  da  lui curata per la circostanza: un album in-folio composto da  trentadue tavole raffiguranti i principali protagonisti di quella serata nei loro fastosi abbigliamenti, frutto del << lavoro di artefici ed artieri  che  durò  settimane >>.   Lo  stesso  Marta  ricorda  inoltre che, per realizzare con   una  indispensabile  precisione  filologica i  costumi  << delle più celebri corti >>, erano state  svolte   minuziose  indagini nelle << pubbliche e private biblioteche >>, alla ricerca di << storie, cronache, descrizioni archeologiche, ritratti, blasoni >>. Una lunga ed accurata preparazione condotta dai diretti interessati << in compagnia di eletti artisti >>, tra i quali non è azzardato supporre  che  vi  fossero  anche i  due  addetti   al settore costumi dei << Reali Teatri >>, l'appaltatore Carlo Guillaume e il figurista Filippo Del Buono. Sicura invece la collaborazione del pittore Pasquale Mattei - illustratore della vita di corte e studioso di feste popolari - cui si deve il disegno preparatorio per  la   tav. III,  nella  quale  il sovrano,  nei  panni  di   Luigi  XIII,  appare  circondato  dagli  altri componenti   della  real  famiglia - la regina Maria Teresa, la principessa Maria Amalia, Maria Isabella contessa di Trapani, Luigi conte di Aquila - tutti in abiti ispirati all'epoca di Richelieu.

Naturalmente,    un'iniziativa  che  aveva  richiesto  una   partecipazione  tanto  vasta  e qualificata, meritava di   essere  tramandata ai  posteri  attraverso un volume  degno   di occupare << un luogo cospicuo anche negli annuali delle arti >>. A tal fine il Marta, << per rispondere all'eccelso divisamento del sontuosissimo monarca >> non esitò  a  recarsi  in Francia   dove   avrebbe    potuto   attuare   il   suo   piano    avvalendosi   dei    maggiori cromolitografi allora esistenti.